La ricetta MTC di novembre è... le arancine!
Favoloso! No, dico davvero!
Crocchette, supplì e similari sono sempre stati da me rigorosamente evitati perchè considerati difficili da realizzare. Figurarsi arancini, arancine e Co. con le loro dimensioni mega. La ricetta è così ben spiegata che ora finalmente imparo a farle/li. Forse...non mi si "sbatasciano".
E così è stato. Sono venuti perfetti, sono rimasti integri, la loro crosticina perfettamente croccante. Il sapore delizioso. Vi consiglio di provare a farli con la ricetta di Roberta, che ringrazio immensamente.
E così è stato. Sono venuti perfetti, sono rimasti integri, la loro crosticina perfettamente croccante. Il sapore delizioso. Vi consiglio di provare a farli con la ricetta di Roberta, che ringrazio immensamente.
Una puntualizzazione: oggetto della sfida non sono gli arancini resi celebri ai più da Camilleri-Moltalbano gli arancini di Adelina perchè ci sono tradizioni diverse in ogni zona, ci spiega Roberta, del blog Puppaccena, vincitrice dell'MTC di ottobre 2012 con la ricetta del pane dello Shabbat con marmellata di cedri, cubàita di mandorle al miele di zagara e cimino.
Questa ricetta evoca il mio ricordo della grande cucina della mia nonna, il tavolo al centro con il piano in marmo, la "catena di montaggio" di queste arancine riporta alla mia mente la collaborazione di più donne in cucina, spesso tre generazioni: la mia nonna, mamma e le zie ed io. Un'atmosfera che ho ritrovato anche nel libro di Simonetta Agnello Hornby "Un filo d'olio", ormai letto da tempo, ma al quale spesso ripenso. E spesso penso che mia madre e le mie zie avrebbero potuto scriverne uno simile, se avessero voluto, per lasciarci memoria delle loro tradizioni, della vita in città ed in campagna. Non solo racconti orali che con il tempo sbiadiscono nella mente e possono in futuro non essere riportati esattamente. Come dicevo, spesso da noi quando ero bambina si creava questa collaborazione tra donne, in particolare, poi, a Natale. I dolci della tradizione erano tanti e non dovevano mancare, perché, le la nonna li aveva preparati quando mia mamma e i suoi erano piccoli, toccava a noi, quando la nonna era diventata anziana, farli, ormai a casa nostra, anche con la sua partecipazione, ma senza farla stancare. E forse da lì nasce la mia passione per la cucina, una passione che richiama il piacere di stare insieme, di chiacchierare mentre si lavora e trasformare il lavoro in un progetto, che non ti fa sentire la stanchezza, le ore passate a lavorare in piedi, fino a tardi. Ti rimane solo il ricordo di casa, famiglia, amore. E' qualcosa che ti da gioia.
E qui poi, si potrebbe anche aprire una parentesi sulla mia passione per Camilleri, per Montalbano e per i thread che inserivo su CI qualche anno fa con le ricette citate nei libri del maestro e dei piatti fagogitati dal Commissario, per ora lascio questo ad un altro post.
Ma non mi lascio invece sfuggire l'occasione per confrontare le ricette e per ricordare e ricordarvi che il nostro Commissiario un Capodanno, invece di raggiungere la sua Livia per festeggiare il Capodanno insieme rimane a Vigata per...mangiare gli arancini di Adelina, la sua "cammarera".
Un assaggio :)) dagli Arancini di Montalbano.
"Il primo a cominciare la litania, o la novena o quello che era, fu, il 27 dicembre, il questore.
«Montalbano, lei naturalmente la notte di Capodanno la passerà con la sua Livia, vero?»
No, non l’avrebbe passata con la sua Livia, la notte di capodanno. C’era stata tra loro due una terribile azzuffatina, di quelle perigliose perché principiano con la frase «Cerchiamo di ragionare con calma» e finiscono inevitabilmente a schifìo. E così il commissario se ne sarebbe rimasto a Vigàta mentre Livia se ne sarebbe andata a Viareggio con amici dell’ufficio.
«Perché altrimenti saremmo felici d’averla a casa nostra. Mia moglie è da tempo che non la vede, non fa altro che chiedere di lei.»
Il commissario stava per slanciarsi in un «sì» di riconoscenza, quando il questore seguitò:
«Verrà anche il dottor Lattes, la sua signora è dovuta correre a Merano perché ha la mamma che non sta bene.»
E manco a Montalbano stava bene la prisenza del dottor Lattes, soprannominato «Lattes e mieles» per la sua untuosità. Sicuramente durante la cena e doppo non si sarebbe parlato d’altro che dei «problemi dell’ordine pubblico in Italia», così si potevano intitolare i lunghi monologhi del dottor Lattes, capo di Gabinetto.
«Veramente avevo già preso…»
Il questore l’interruppe, sapeva benissimo come la pensasse Montalbano sul dottor Lattes.
«Senta, però, se non può, potremmo vederci a pranzo il giorno di Capodanno.»
«Ci sarò» promise il commissario.
Poi fu la volta della signora Clementina Vasile-Cozzo.
«Se non ha di meglio da fare, perché non viene da me? Ci saranno macari mio figlio, sua moglie e il bambino.»
E lui che veniva a rappresentare in quella bella riunione di famiglia? Rispose, a malincuore, di no.
Poi fu il turno del preside Burgio. Andava, con la mogliere, a Comitini, in casa di una nipote.
«È gente simpatica, sa? Perché non si aggrega?»
Potevano essere simpatici oltre i limiti della simpatia stessa, ma lui non aveva voglia d’aggregarsi. Forse il preside aveva sbagliato verbo, se avesse detto «tenerci compagnia», qualche possibilità ci sarebbe stata.
Puntualmente, la litania o la novena o quello che era si ripresentò in commissariato.
«Domani, per la notte di capodanno, vuoi venire con mia?» spiò Mimì Augello che aveva intuito l’azzuffatina con livia.
«Ma tu dove vai?» spiò a sua volta Montalbano, inquartandosi a difesa.
Mimì, non essendo maritato, sicuramente l’avrebbe portato o in una rumorosa casa di amici o in un anonimo e pretenzioso ristorante rimbombante di voci, risate e musica a tutto volume.
A lui piaceva mangiare in silenzio, un fracasso di quel tipo poteva rovinargli il gusto di qualsiasi piatto, macari se cucinato dal miglior cuoco dell’universo criato.
«Ho prenotato al Central Park» rispose Mimì.
E come si poteva sbagliare? Il Central Park! Un ristorante immenso dalle parti di Fela, ridicolo per il nome e per l’arredamento, dove erano stati capaci di avvelenarlo con una semplicissima cotoletta e tanticchia di verdura bollita.
Taliò il suo vice senza parlare.
«Va beni, va beni, come non detto» concluse Augello niscendo dalla cammara. Subito però rimise la testa dintra: «La virità vera è che a tia piace mangiare solo».
Mimì aveva ragione. Una volta, ricordò, aveva letto un racconto, di un italiano certamente, ma il nome dell’autore non lo ricordava, dove si contava di un paisi nel quale era considerato atto contro il comune senso del pudore il mangiare in pubblico. Fare invece quella cosa in prisenza di tutti, no, era un atto normalissimo, consentito. In fondo in fondo si era venuto a trovare d’accordo. Gustare un piatto fatto come Dio comanda è uno dei piaceri solitari più raffinati che l’omo possa godere, da non spartirsi con nessuno, manco con la pirsona alla quale vuoi più bene.
Tornando a casa a Marinella, trovò sul tavolino della cucina un biglietto della cammarera Adelina.
Mi ascusasi se mi primeto che dumani a sira esento che è capo di lanno e esento che i me’ dui fighli sunno ambitui in libbbirtà priparo ghli arancini chi ci piacinno. Se vosia mi voli fari l’onori di pasare a mangiare la intirizo lo sapi.
Adelina aveva due figli delinquenti che trasivano e niscivano dal càrzaro: una felice combinazione, rara come la comparsa della cometa di Halley, che si trovassero tutti e due contemporaneamente in libertà. E dunque da festeggiare sullennemente con gli arancini.
Gesè, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasuto nel DNA, nel patrimonio genetico.
"Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummodoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddare. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pe carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!"
Montalbano non ebbe dubbio con chi cenare la notte di capodanno. Solo una domanda l’angustiò prima di pigliare sonno: i due delinquenti figli d’Adelina ce l’avrebbero fatta a restare in libertà fino al giorno appresso?"
Andrea Camilleri, Gli arancini di Montalbano.
Ma non mi lascio invece sfuggire l'occasione per confrontare le ricette e per ricordare e ricordarvi che il nostro Commissiario un Capodanno, invece di raggiungere la sua Livia per festeggiare il Capodanno insieme rimane a Vigata per...mangiare gli arancini di Adelina, la sua "cammarera".
Un assaggio :)) dagli Arancini di Montalbano.
"Il primo a cominciare la litania, o la novena o quello che era, fu, il 27 dicembre, il questore.
«Montalbano, lei naturalmente la notte di Capodanno la passerà con la sua Livia, vero?»
No, non l’avrebbe passata con la sua Livia, la notte di capodanno. C’era stata tra loro due una terribile azzuffatina, di quelle perigliose perché principiano con la frase «Cerchiamo di ragionare con calma» e finiscono inevitabilmente a schifìo. E così il commissario se ne sarebbe rimasto a Vigàta mentre Livia se ne sarebbe andata a Viareggio con amici dell’ufficio.
«Perché altrimenti saremmo felici d’averla a casa nostra. Mia moglie è da tempo che non la vede, non fa altro che chiedere di lei.»
Il commissario stava per slanciarsi in un «sì» di riconoscenza, quando il questore seguitò:
«Verrà anche il dottor Lattes, la sua signora è dovuta correre a Merano perché ha la mamma che non sta bene.»
E manco a Montalbano stava bene la prisenza del dottor Lattes, soprannominato «Lattes e mieles» per la sua untuosità. Sicuramente durante la cena e doppo non si sarebbe parlato d’altro che dei «problemi dell’ordine pubblico in Italia», così si potevano intitolare i lunghi monologhi del dottor Lattes, capo di Gabinetto.
«Veramente avevo già preso…»
Il questore l’interruppe, sapeva benissimo come la pensasse Montalbano sul dottor Lattes.
«Senta, però, se non può, potremmo vederci a pranzo il giorno di Capodanno.»
«Ci sarò» promise il commissario.
Poi fu la volta della signora Clementina Vasile-Cozzo.
«Se non ha di meglio da fare, perché non viene da me? Ci saranno macari mio figlio, sua moglie e il bambino.»
E lui che veniva a rappresentare in quella bella riunione di famiglia? Rispose, a malincuore, di no.
Poi fu il turno del preside Burgio. Andava, con la mogliere, a Comitini, in casa di una nipote.
«È gente simpatica, sa? Perché non si aggrega?»
Potevano essere simpatici oltre i limiti della simpatia stessa, ma lui non aveva voglia d’aggregarsi. Forse il preside aveva sbagliato verbo, se avesse detto «tenerci compagnia», qualche possibilità ci sarebbe stata.
Puntualmente, la litania o la novena o quello che era si ripresentò in commissariato.
«Domani, per la notte di capodanno, vuoi venire con mia?» spiò Mimì Augello che aveva intuito l’azzuffatina con livia.
«Ma tu dove vai?» spiò a sua volta Montalbano, inquartandosi a difesa.
Mimì, non essendo maritato, sicuramente l’avrebbe portato o in una rumorosa casa di amici o in un anonimo e pretenzioso ristorante rimbombante di voci, risate e musica a tutto volume.
A lui piaceva mangiare in silenzio, un fracasso di quel tipo poteva rovinargli il gusto di qualsiasi piatto, macari se cucinato dal miglior cuoco dell’universo criato.
«Ho prenotato al Central Park» rispose Mimì.
E come si poteva sbagliare? Il Central Park! Un ristorante immenso dalle parti di Fela, ridicolo per il nome e per l’arredamento, dove erano stati capaci di avvelenarlo con una semplicissima cotoletta e tanticchia di verdura bollita.
Taliò il suo vice senza parlare.
«Va beni, va beni, come non detto» concluse Augello niscendo dalla cammara. Subito però rimise la testa dintra: «La virità vera è che a tia piace mangiare solo».
Mimì aveva ragione. Una volta, ricordò, aveva letto un racconto, di un italiano certamente, ma il nome dell’autore non lo ricordava, dove si contava di un paisi nel quale era considerato atto contro il comune senso del pudore il mangiare in pubblico. Fare invece quella cosa in prisenza di tutti, no, era un atto normalissimo, consentito. In fondo in fondo si era venuto a trovare d’accordo. Gustare un piatto fatto come Dio comanda è uno dei piaceri solitari più raffinati che l’omo possa godere, da non spartirsi con nessuno, manco con la pirsona alla quale vuoi più bene.
Tornando a casa a Marinella, trovò sul tavolino della cucina un biglietto della cammarera Adelina.
Mi ascusasi se mi primeto che dumani a sira esento che è capo di lanno e esento che i me’ dui fighli sunno ambitui in libbbirtà priparo ghli arancini chi ci piacinno. Se vosia mi voli fari l’onori di pasare a mangiare la intirizo lo sapi.
Adelina aveva due figli delinquenti che trasivano e niscivano dal càrzaro: una felice combinazione, rara come la comparsa della cometa di Halley, che si trovassero tutti e due contemporaneamente in libertà. E dunque da festeggiare sullennemente con gli arancini.
Gesè, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasuto nel DNA, nel patrimonio genetico.
"Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummodoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddare. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pe carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!"
Montalbano non ebbe dubbio con chi cenare la notte di capodanno. Solo una domanda l’angustiò prima di pigliare sonno: i due delinquenti figli d’Adelina ce l’avrebbero fatta a restare in libertà fino al giorno appresso?"
Andrea Camilleri, Gli arancini di Montalbano.
Non posso non pubblicare l'intera ricetta di Roberta perché la preparazione è lunga e piacevolmente complessa e una parafrasi non le farebbe giustizia. In più adoro il siciliano, quindi lascio anche i commenti in lingua originale.
Roberta scrive:
...BBBene. Ora resettate. Si cambia registro… si mescola sacro e profano, si scende in strada, si passìa e si mancia (si passeggia e si mangia)… e nel frattempo per favore non chiamatela arancino!!! Almeno finché vi trovate nella Sicilia occidentale, l'arancina che vi sbafate cavura cavura (calda calda), dorata e formosa, croccante eppure facile al languido abbandono, è fimmina!!!
E con lei i palermitani si curcano e si susino (si coricanoo e si alzano) ogni giorno… perché mentre altri stilano la classifica dello street food, i palermitani, inconsapevoli del loro quinto posto al mondo, continuano a fare quello che gli riesce benissimo… mangiare! Mangiare sempre, mangiare dovunque, dalla sera alla mattina mangiare-mangiare-mangiare. Tanto dovunque ti giri da mangiare c'è. E tra calzoni, rollò, ravazzate, sfincioni e sfincionelli, pane con la milza, pane e panelle, pane e panelle e crocché, brioscia gelato e pppanna, stigghiole, frittola, quarume, polpo bollito, e potrei continuare ma basta così!, tra tutto questo popò di roba servita e mangiata in strada c'è pure lei, l'arancina, che non c'è bar, friggitoria, lapino-friggitoria (da "la moto-ape" > "l'ape" > lapino) che non te ne faccia sentire 'u ciàuru (il profumo) a tutte le ore e in tutte le occasioni.
… E che fa, non te la mangi un'arancinetta a colazione? E che fa, non te la mangi un'arancina al burro a mezza mattinata? E che fa, non te la mangi un'arancina alla carne a pppranzo? E che fa, non ce la spariamo un'arancina-bomba a merenda? E che fa, non ce le facciamo due arancinette con l'aperitivo? E che fa, non ci sta un'arancina dopo cena… magari leggera-leggera, affforno? E che fa, prima di irisi a curcari (andare a coricarsi) magari dolce alla nutella nooooo???
Poi, però, c'è un'occasione che è più occasione di tutte le altre. Il 13 dicembre arriva Santa Lucia, giorno della devozione e della grande rinuncia di pane e pasta, giorno del sacrificio di settecentomila palermitani che si rassegnano a farsi di cuccìa e di arancine! Giorno del trionfo e dei record, giorno in cui una città consuma la produzione di arancine di un intero mese. Giorno in cui di arancine se ne vedono di tutti i tipi e di tutti i gusti.
Ma in origine furono solo loro, alla carne e al burro, riconoscibili da lontano per la forma: tonde alla carne, ovvero con ragù e piselli, ovali al burro, ovvero con prosciutto cotto e scamorza. … Ho detto ovali… non a punta… quelli sono gli altri, gli arancini!
E questa è la ricetta di novembre… le arancine. Una passione che si consuma in un secondo, ma che ha dietro un corteggiamento lungo e paziente… vedrete…
Ora vi saluto, m'è presa l'ansia… vi piacerà, non vi piacerà??? Stress… vi lascio di qua alla ricetta e di là al regolamento, ad Alessandra e a Daniela (…se vi prendo!!!! ^_^).
…E che fa, non me la devo andare a fare un'arancina per riprendermi da questa cosa qui della ricetta, dallo stress, dalla responsabilità e pppure dalla vittoria dell'emmetichallenge di ottobre che chi me lo doveva dire che mi succedeva proprio a mmme????...
Con queste dosi mi sono venute 18 arancine "normali", grandi più o meno come un'arancia. La metà alla carne (quelle tonde), l'altra metà al burro (quelle ovali).
Il mio palermitano ma personale pensiero è semplice ed è questo: l'arancina dev'essere saporita e per questo si parte dal riso, che non va trascurato perché tanto c'è "la conza" dentro. L'arancina è prima di tutto di riso, e il riso dev'essere una presenza discreta ma sensata. Poi viene il resto. E il resto è tanto ed è in diversi passaggi. Questi qui sotto vengono dal quaderno della zia e da revisioni, ripensamenti, scopiazzamenti, passaparola, scoperte e prova e riprova sempre in corso.
Per il riso
1 kg di riso originario (alcuni usano il Roma)
2,5 l circa di brodo vegetale (con carota, cipolla, sedano)
una bustina di zafferano
50 g di burro
50 g di parmigiano grattugiato
una cipolla medio-piccola
olio evo q.b.
sale q.b.
Per il ripieno "al burro" con prosciutto cotto, scamorza bianca e besciamella (per circa 9 arancine)
80 g di prosciutto cotto in una fetta sola e di buona qualità (io di coscia e senza conservanti)
120 g di scamorza bianca
150 ml di latte + 15 g di farina + 10 g di burro + sale q.b. per la besciamella
prezzemolo q.b. (opzionale, qui non c'è)
Per il ripieno "alla carne" con ragù e piselli (per circa 9 arancine)
100 g di macinato di vitello (2° taglio)
100 g di macinato di maiale
100 g piselli freschi o surgelati, ma al netto delle bucce
180 g di polpa di pomodoro
un cucchiaio scarso di concentrato di pomodoro + tre dita d'acqua in un bicchiere
una cipolla piccola, una carota, un gambetto di sedano, una foglia d'alloro
1/2 bicchiere circa di vino bianco per sfumare
olio evo q.b.
sale q.b.
Per la lega (ne resterà molta, ma occorre poter immergere bene l'arancina)
800-900 ml d'acqua
la metà di farina ( considera circa 400 g di farina, comunque regolati anche a occhio, dev'essere una pastella lenta ma non liquida, mi dice Roberta)
una manciata di sale
Per la panatura (ne resterà molto anche qui)
700-800 g di pangrattato
Per la frittura
3 l di olio di semi di mais (o comunque abbondante per poter friggere in olio profondo)
Il riso va preparato con qualche ora d'anticipo, perché al momento della preparazione delle arancine dev'essere ben freddo.
Preparare il brodo vegetale con gli aromi. Una volta pronto, rimuovere la carota, il sedano e la cipolla di cottura e sciogliere lo zafferano nel brodo. Regolare di sale.
In un tegame capiente, dare un giro abbondante di olio evo e fare appassire la cipolla tagliata finemente. Versare il riso e fare tostare un pochino. Versare nel tegame buona parte del brodo, non tutto in modo da poterne aggiungere all'occorrenza regolandosi in funzione del tipo di riso e della sua cottura.
Fermare la cottura quando il riso sarà al dente e si presenterà piuttosto compatto (ovvero non dev'essere cremoso come un tipico buon risotto!). Immergere il tegame nel lavello riempito d'acqua fredda (evitando che l'acqua entri all'interno) e mantecare con il burro e il parmigiano grattugiato. Se serve, per abbattere la temperatura ed evitare che il riso continui a cuocere, rinnovare l'acqua fredda dentro il lavello.
Una volta tiepido, versare il riso dentro una teglia e lasciare da parte affinché raffreddi completamente. Poi coprire con carta d'alluminio e conservare in frigorifero per almeno 3-4 ore.
Anche il ragù è bene prepararlo in anticipo, sia per comodità sia perché anch'esso dovrà essere freddo al momento della preparazione delle arancine.
In un po' di cipolla tagliata finemente e fatta appassire in olio evo, versare i pisellini, coprire con un po' d'acqua, salare e cuocere per una decina di minuti o comunque il necessario (devono essere cotti ma non scotti). Scolare e tenere da parte.
Tagliare finemente, o tritare al mixer, la carota, la cipolla e il sedano. Insieme alla foglia d'alloro, fare rosolare gli aromi tritati in un giro d'olio evo dentro un tegame.
Aggiungere le due carni e farle rosolare, sgranandole nel frattempo con un cucchiaio di legno perché la grana risulti fine. Sfumare con il vino bianco. Lasciare evaporare i liquidi e quindi aggiungere la polpa di pomodoro e il concentrato di pomodoro sciolto nell'acqua. Salare e fare cuocere a fiamma bassa per circa mezz'ora, o comunque fino ad ottenere un ragù piuttosto asciutto.
Togliere dal fuoco e lasciare intiepidire. Aggiungere i piselli, mescolare delicatamente e lasciare raffreddare il tutto.
Per il condimento "al burro", preparare una besciamella vellutata e non troppo densa (e con il giusto grado di sale, anche questo servirà a dare sapore al ripieno) e lasciare raffreddare.
Una volta fredda, aggiungere il prosciutto e la scamorza tagliati a tocchetti piccoli e amalgamare. Se l'avete previsto, aggiungete anche il prezzemolo.
FATTO TUTTO QUESTO…. SI PARTE!
Prima di tutto disporre a portata di mano tutti gli ingredienti necessari e attrezzarsi di vassoi, teglie, scodelle…. la preparazione delle arancine è una specie di catena di montaggio (bella in compagnia!) che diventa più piacevole, o comunque meno stressante, se preventivamente organizzata.
Cominciare dalla preparazione della "lega". Si tratta della pastella di acqua e farina che serve a sigillare l'arancina e a creare una base per la panatura con il pangrattato che aiuterà a conferire doratura, spessore e croccantezza al punto giusto. Versare l'acqua in una scodella profonda, aggiungere la farina, una bella manciata di sale e amalgamare bene con una frusta. Tenere da parte e passare alla creazione delle arancine.
Ci sono vari modi per formare e farcire le arancine, questo secondo me è il procedimento più semplice anche per chi le fa per la prima volta ed è anche quello che consente di organizzare e distribuire meglio il lavoro. Perché in pratica bisogna prima fare tutte le sfere o gli ovali, poi fare il buco, poi farcirle.
Premesso che le arancine possono essere enormi (da noi c'è un Bar che fa anche l'arancina-bomba!), normali (che comunque sono grandi!) e mignon (di solito come antipasto… o per la colazione dei palermitani più virtuosi!), con una mano prendete un po' di riso in base alla grandezza dell'arancina che desiderate. Poi, girando con tutte e due le mani, formate una palla se volete farle alla carne, oppure date una forma ovale se volete farle al burro. Se volete farle miste, conviene comunque procedere facendole prima tutte in un modo e poi nell'altro.
Posate la "futura" arancina su un vassoio e ricominciate fino a terminare il riso. Lasciatele riposare per una mezz'ora, in modo che raffreddino (anche se il riso era freddo di frigo, col calore delle mani si saranno un po' scaldate) e che il riso si compatti rendendo poi più facile la farcitura.
Tenendo la palla di riso con una mano, con il pollice dell'altra mano create un buco in alto e al centro e cominciate ad allargarlo spingendo sia verso il basso che sui lati. Posate nuovamente la palla di riso sul vassoio e passate alle altre, fino a completarle tutte.
Se prevedete di fare anche quelle ovali, procedete con queste prima di passare al ripieno delle precedenti. In questo caso, con il pollice occorre fare una pressione al centro per lungo, spingendo anche in questo caso verso il basso e sui lati.
A questo punto passare alla farcitura. Anche in questo caso, se le prevedete di due tipi, procedere prima con tutte quelle di un tipo poi con tutte quelle dell'altro tipo.
Con la punta delle dita prendere un po' di ragù con i piselli e inserirle all'interno del buco precedentemente creato.
Poi chiudere l'arancina: un po' spingendo "la conza" - il condimento - verso il basso, e un po' cercando di portare in avanti il riso per chiudere l'arancina. Girare l'arancina tra le mani per darle la forma e per rendere la superficie liscia e compatta, senza buchi o piccole fessure. Posare l'arancina con il ripieno sul vassoio e passare ad un'altra, fino a completarle tutte.
Al termine, lavare le mani e ripetere l'operazione con un eventuale secondo ripieno.
Quando tutte le arancine saranno pronte sul vassoio, passare alla "lega". Dare qualche colpo di frusta alla pastella per riprendere l'amalgama di acqua e farina e a questo punto immergere singolarmente le arancine dentro la lega, poggiandole poi sul vassoio, fino al completamento dell'operazione per tutte le arancine. Io preferisco separare lega e panatura per fare in modo che la lega scoli un pochino dall'arancina al vassoio e non finisca a fiotti dentro il pangrattato creando un mezzo pappone che poi finisce sulla superficie delle arancine. Scolando, tra l'altro, la lega resta uno strato sottile, sottile sarà la panatura e sottile e croccante sarà la crosticina finale. Naturalmente la lega non deve asciugare troppo, quindi se si devono fare 4658479857858569 arancine magari è il caso di prevedere più step di lega-panatura.
E ora la panatura.
Versare il pangrattato dentro una teglia e, ad una ad una, passare ogni singola arancina dentro il pangrattato, pressandole bene con le mani per "saldare" bene lega e pangrattato, per rendere compatta la superficie delle arancine e, all'occorrenza, per riprenderne un pochino la forma.
E finalmente la frittura!
Versare l'olio in una friggitrice o in un tegame piuttosto alto. Quando l'olio sarà ben-ben-ben caldo, immergere le arancine per 2-3 minuti o comunque fino a quando non risulteranno dorate in superficie.
E a questo punto la "manciata"!…
...servire e mangiare calde!
Visto che si tratta di un bel lavorone di preparazione, c'è chi quando ci si mette-ci si mette, ne prepara un bel po' e in parte le congela. Non lo so per esperienza diretta perché finora le abbiamo sbafate tutte subito, ma chi ha provato mi ha riferito di averle messe in freezer non ancora fritte dentro un contenitore, di averle tirate fuori all'occorrenza con qualche ora d'anticipo per farle scongelare completamente e poi di averle fritte. Pare che il risultato sia ottimo.
Con questa ricetta partecipo all'MTC di novembre.
ma che bel post, rosy!!!! bellobellobello, perchè venato da un entusiasmo contagioso, dalla prima al'ultima riga!
ReplyDeleteTant'è che ora son curiosa e vorrei tanto conoscerla, la ricetta della tua famiglia... abbiamo aperto il nuovo blog anche per questo, per raccogliere le varie voci che finiscono per essere messe in disparte dalle regole della gara ma che meriterebbero lo stesso spazio. Per cui, se ti va, noi siamo qui pronte!
Grazie ancora e buona domenica
sai Rosemarie, il tuo post mi ha colpita ed emozionata. E' pieno di cose e di ricordi, di rimandi e di ritorni, e che regalo mi hai fatto a voler provare le "mie" ricette - e a renderle perfette - pur con la forza e la ricchezza delle tue tradizioni, di famiglia e di cucina. Mi unisco infatti ad Alessandra nell'augurarmi di vedere pubblicata al più presto la tua ricetta di famiglia.
ReplyDeleteFamiglia che tu hai descritto benissimo come un luogo di ricordi, come la prima e più cara scuola di cucina, quella che insegna ad imparare guardando, quella che anche dopo anni e chilometri ci riporta a casa solo con un profumo o con un sapore.
grazie Rosemarie :*
roberta
Che bello tutto il tuo racconto e che buone le tue arancine.
ReplyDeleteCredo proprio che sia un lavoro impegnativo, ma sicuramente danno molta soddisfazione.
Siccome le hai spiegate molto bene, credo, penso, mah...dici che ci riuscirò a farle????
Ciao